Quanto è matura la cultura dell'innovazione nel tessuto imprenditoriale italiano? Analizziamo il livello di digitalizzazione delle nostre imprese focalizzandoci su criticità, prospettive e opportunità
Digital Transformation, Industry 4.0, Smart Working, eCommerce: i temi dell'innovazione sono ormai una sfida quotidiana per il mondo dell'impresa. Che la digitalizzazione porti miglioramenti all'organizzazione aziendale e sia una leva strategica per guadagnare competitività è indiscusso. Ma in un ecosistema imprenditoriale come quello italiano, costituito in larga parte da microimprese e PMI, la digital economy non è ancora giunta ad esprimere il suo massimo potenziale.
Per comprendere l'effettivo livello di digitalizzazione delle imprese italiane, ci viene in aiuto l'indice DESI (The Digital Economy and Society Index), attraverso cui la Commissione Europea monitora di anno in anno i progressi della transizione digitale. L'indice si basa su quattro macro-indicatori del grado di maturità digitale dei Paesi membri: competenze digitali del capitale umano, copertura e diffusione delle reti di connettività, integrazione di tecnologie nelle aziende e servizi pubblici digitali. Il report del 2021 è fresco di pubblicazione e vede l'Italia al 20° posto sul totale dei 27 Paesi UE. Nonostante un lieve progresso in classifica – nel 2020 era addirittura al 25° posto – il punteggio finale attribuito al nostro Paese è ancora nettamente inferiore alla media UE: 45,5 contro 50,7.
Il dato più critico per l'Italia riguarda il rapporto tra risorse umane e digitale: solo il 42% delle persone tra i 16 e i 74 anni possiede skills digitali di base – contro una media europea del 58% – e solo il 22% ha competenze digitali avanzate. Un limite, questo, che compromette il successo di molti processi di innovazione del Paese.
Tra i risultati più positivi registrati dal rapporto DESI 2021 c'è il livello di integrazione delle tecnologie digitali nelle imprese: in questo ambito l'Italia è tra le migliori dieci d'Europa, con un punteggio di 41,4.
Stando al rapporto, quasi il 70% delle piccole e medie imprese italiane ha raggiunto il livello base di 'intensità digitale', introducendo stabilmente tecnologie digitali a supporto dei processi aziendali quotidiani (l'obbligo di fatturazione elettronica, stabilito per legge, ha certamente influito sull'ottimo risultato). I dati sulla diffusione del commercio elettronico non sono però altrettanto soddisfacenti: solo l'11% delle PMI italiane vende online, contro una media UE del 18%. Lo scarto si riduce per i valori riferiti al fatturato eCommerce e al commercio elettronico internazionale, sintomo che, per le aziende che hanno investito in digitale, il riscontro economico c'è ed è vicino a quello medio registrato dalle imprese del resto d'Europa. Tra i punti di debolezza evidenziamo l'utilizzo esiguo di big data e tecnologie basate sull’intelligenza artificiale.
THE DIGITAL ECONOMY AND SOCIETY INDEX (DESI) REPORT 2021 – ITALYProspettive incoraggianti sullo stato di digitalizzazione delle imprese arrivano poi da un altro studio, il Digital Riser Report 2021 stilato dallo European Center for Digital Competitiveness della ESCP Business School, che misura il potenziale di crescita di 137 Paesi del mondo in relazione ai processi di trasformazione digitale. L'Italia è tra i 'Top digital risers': ha scalato il ranking in un solo anno e, anche grazie alla spinta della pandemia e alle politiche agevolative, nell'ultimo triennio ha incrementato in modo sostanziale la propria 'digital competitiveness'.
Il quadro che emerge è dunque sfaccettato: il digitale è ancora per molti aspetti una debolezza strutturale del Sistema Italia, ma, seppur lentamente, la transizione digitale sta facendo passi in avanti. Il ritardo nell'acquisizione di competenze digitali evidenziato dal rapporto DESI è uno dei fattori determinanti la lentezza del processo di transizione. Applicato al mondo dell'impresa, si traduce in un approccio superficiale e spesso estemporaneo al problema. Eppure la maturità digitale è un obiettivo accessibile: per colmare definitivamente il gap e far decollare gli investimenti, il mondo del lavoro dovrà essere messo nelle condizioni di sviluppare un nuovo mindset e strategie di lungo termine.
Il rapporto annuale Istat sulla situazione economica del Paese rileva che le imprese digitalmente mature hanno vantaggio competitivo sulle altre e sono più solide.
”Nel complesso, gli investimenti in ricerca e digitalizzazione e nella formazione del personale, aumentano significativamente la probabilità di limitare gli effetti negativi della crisi. Inoltre, le imprese digitalmente più evolute presentano una maggiore reattività: solo il 4,1% di esse ha ridimensionato l’attività, contro quote più che doppie delle imprese che prima della pandemia hanno investito meno nella trasformazione digitale.”
FONTE: RAPPORTO ANNUALE ISTAT 2021 – LA SITUAZIONE DEL PAESEAssodato il ritardo complessivo nei processi di innovazione in Italia, l'Istituto nazionale di statistica ha registrato una maggiore tenuta delle realtà più innovative, che hanno saputo essere resilienti anche in un momento di grave crisi come quella dovuta all'emergenza Covid-19.
Alla luce di questi segnali incoraggianti, anche le imprese che faticano ancora a modernizzare processi produttivi e operativi, possono iniziare a vedere l'innovazione come opportunità di crescita: un volano per raggiungere maggiore efficienza e competitività, al di là del semplice rinnovamento tecnologico dei flussi di lavoro.
Una panoramica sull'innovazione dei processi e sulla maturità digitale raggiunta dalle PMI italiane è offerta da un recente studio pubblicato dall'Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano in collaborazione con Capterra. L'analisi si basa su interviste a titolari o responsabili IT di 1038 aziende, rappresentative della popolazione italiana di piccole e medie imprese.
INFOGRAFICA OSSERVATORIO DIGITALE NELLE PMIDalla survey emerge che, nell'ultimo anno, le aziende italiane hanno accelerato soprattutto su tecnologie per l'eCommerce, vendite tramite marketplace, servizi in cloud, gestione digitale di documenti e risorse umane. Nonostante il massivo ricorso allo Smart Working, solo il 32% del campione intervistato dichiara di aver introdotto tecnologie per l'accesso da remoto ai dati, come ad esempio VPN (Virtual Private Network). Sicurezza informatica e Big Data sono temi che interessano, ma in modo soltanto superficiale: il 63% delle PMI non ha un piano avanzato per la cybersecurity e appena il 12% segue strategie data-driven nelle progettualità di business. Nell'ambito della produzione industriale, infine, poche realtà fanno affidamento su software MES (Manufacturing Execution System) o PLM (Product Lifecycle Management) per controllare digitalmente il ciclo di vita del prodotto e automatizzare la raccolta dei dati relativi ai processi di fabbrica.
Un'attenzione particolare meritano i dati riguardanti l'adozione di ERP (Enterprise Resource Planning): i software gestionali che consentono di controllare molteplici processi di business sono utilizzati solo dal 36% delle imprese intervistate e addirittura un terzo del totale non conosce la tecnologia o non prevede di introdurla in azienda. La scarsa diffusione di uno strumento così utile per le PMI – e non solo per la grande impresa – è senza dubbio un dato critico.
Le tecnologie su cui investire per ottimizzare i processi sono quindi numerose e adattabili a realtà aziendali di ogni settore e dimensione. Dalla survey emerge però che il 43% degli imprenditori e manager intervistati è ancora refrattario agli investimenti in digitale. Quali sono i motivi? I costi, percepiti come troppo elevati, l'idea che il digitale sia uno strumento di interesse marginale per il proprio business e la scarsa conoscenza delle tecnologie e dei vantaggi che da esse derivano.
Le realtà più piccole, nelle quali i vertici aziendali e il management guardano inevitabilmente a un ritorno di investimento tangibile e tengono gli occhi ben aperti sul rapporto tra costi e benefici, hanno oggi più che mai bisogno di accedere agli incentivi e ai bandi pubblici promossi dal Governo e dagli altri enti territoriali per favorire la digitalizzazione. Il Governo ha prorogato fino al 2025 tutte le iniziative di finanza agevolata per l'innovazione tecnologica delle imprese: Transizione 4.0, investimenti in Ricerca e Sviluppo, Formazione 4.0 e Nuova Sabatini. Le risorse provenienti dal programma Next Generation EU daranno poi un'ulteriore spinta alle politiche di sostegno per le aziende. Non dimentichiamo che lo sviluppo tecnologico del Paese è la prima tra le 'missioni' del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), il pacchetto di investimenti per il rilancio dell'economia dopo la crisi pandemica: per la digitalizzazione verranno stanziati 40,29 miliardi di euro, il 21,04% del totale del budget basato sui fondi europei del programma di recovery (secondo solo al budget destinato alla transizione ecologica).